venerdì 2 aprile 2010

TEX WILLER E ALTRE STORIE (di Fiordistella)

Onorina Vargiu Quand'ero piccola, non ci si rimbambiva ancora irreversibilmente davanti al televisore. Si guardavano alcuni programmi e basta. Poi, ci si buttava a capofitto nella lettura. Io ho imparato a leggere, come tutti, a sei anni e, da allora, e per qualche lustro, non mi sono fatta mancare niente.


Che cosa leggevamo, noi bambini di allora?



Tex Willer ha rappresentato il fumetto di culto di una generazione e l' incontro con lui, ma anche con Blek Macigno, Roddy e il professor Occultis, con capitan Miki, Salasso e Doppio Rhum, avveniva, in genere, verso i sette- otto anni, al termine di estenuanti letture di fiabe efferate, piene di orchi, streghe, bambini abbandonati , sorellastre cattive e cretine, matrigne attempate, e invidiose della giovinezza e della bellezza di fanciulle innocenti, che passavano i loro inutili giorni a domandare ad uno specchio inebetito:" Specchio, specchio delle mie brame: chi è la più bella del reame?"

E via, in un crescendo, da malati di mente, di mele avvelenate, di spine che pungono e mandano in catalessi per cent' anni, di pollicini svegli ma autolesionisti che, seminando sassi, ritrovano la via per tornare in una famiglia di scellerati, che sarebbe stato meglio dimenticare per sempre. Meglio soli che male accompagnati, no? Hansel e Gretel avrebbero, certo, preferito continuare a vagare soli nel bosco, alla ricerca di radici marce con cui sfamarsi, anzichè trovare comodo alloggio in una stia per polli, amorevolmente accuditi da una megera che forniva loro cibo succulento affinchè, una volta bene in carne, si disponessero graziosamente a fungere da bocconcino prelibato per le gengive sdentate della suddetta. Ma nelle fiabe i bambini sono, molto spesso, meno tonti degli adulti e Hansel e Gretel, muniti di opportuna zampa di pollo scarnificata, che presentavano in luogo delle paffute manine, traevano in inganno la vecchiaccia rimbambita, che continuava a nutrirli a dismisura, fino a liberazione avvenuta. Tutto è bene quel che finisce bene, ma simili racconti nefandi producevano traumi difficilmente superabili. Per fortuna, c' era Cappuccetto Rosso che, lungi dall' ingenerare angoscia, faceva morir dal ridere. Perchè era un concentrato di stupidità." La mamma mi dice di attraversare il bosco alla svelta, mentre vado a casa della nonna? E io mi ci perdo. Non per affermare la legittima volontà di assaporarne l'atmosfera e i profumi, ma perchè sono sbiellata, mi distraggo e svolazzo di qua e di là, fino a perdere l'orientamento. A chi chiedo lumi per arrivare a destinazione? Ma al lupo, naturalmente, che è una così brava personcina e ama tanto i bambini. Quando arrivo a casa della nonna e, anzichè l' amabile vecchietta, della quale ben conosco la fisionomia, trovo nel letto un essere peloso, provvisto di inconfondibili orecchie da lupo, con una bocca piena di inequivocabili denti da lupo, che emette una riconoscibilissima voce da lupo, che cosa faccio? Fuggo a gambe levate? No, lo scambio per la nonna, rimango lì a far conversazione e rivolgo domande babbee, in fiduciosa attesa che mi divori." Come può un bambino, intellettualmente normodotato, che si accosti alla favola per la prima volta, non tifare per il lupo che, in fondo, fa solo il suo onesto mestiere? E invece no: è Cappuccetto Rosso che si salva e che, presumibilmente, continuerà, giuliva, a far danni per il resto della vita. Sarebbe stato interessante che Perrault si fosse cimentato con il seguito della storia : ne avremmo viste delle belle. Nelle fiabe, ogni tanto, c' era anche un principe azzurro che, dall' alto della sua magnanimità, affrontava di petto la situazione e, con un bacetto distratto ma risolutore, risvegliava belle addormentate, in coma da decenni. Come a dire:" Se non ci fossimo noi uomini, che mai fareste, povere impedite?" Mi sono sempre chiesta se fosse il calore del bacio o il solletico della piuma, issata su un cappello inesorabilmente calato sul naso, anche in piena temperie romantica, a produrre il miracolo. E ' tanto strano, allora, che, a otto anni, si facesse un bel falò di libri di fiabe e si trovasse conforto nell' amico Tex? Ci veniva detto che era una lettura per maschietti, più che per femminucce, ma a chi aspirava a ricevere in regalo trattori e camion con cui giocare, l'obiezione appariva del tutto irrilevante. E allora cominciava la festa. Con Tex abbiamo imparato ad amare gli indiani Navajos e a schierarci dalla parte delle minoranze oppresse,ben prima che il film " Soldato blu" stigmatizzasse la perfidia dell' uomo bianco. Con Tex abbiamo imparato ad apprezzare gli uomini che non si parlano addosso, che praticano con coerenza un ideale di vita sobrio e austero, che sanno distinguere tra il bene e il male e che, al contempo, rifuggono, inorriditi, dalla tentazione di ergersi a baluardo della virtù. Con Tex abbiamo imparato a riconoscere e a stimare le persone serie e leali, quelle che non indulgono a biechi mezzucci per agguantare il consenso e che non temono di sfidare l' impopolarità. Con Tex abbiamo anche imparato che si può imprecare con fantasia: "Satanasso!" "Canaglie, che il diavolo vi porti !"

Per un bambino, è pur sempre una bella soddisfazione.



Ah! Per la cronaca: la mia infanzia è stata allietata anche dalla lettura de " Il monello"... Dove credete che abbia scovato il mio nickname, scusate? Su "Il monello", naturalmente :"Fiordistella, la reginetta del cielo".



L'infanzia non finisce proprio mai, se Dio vuole

Per un bambino, è pur sempre una bella soddisfazione.

1 commento: