sabato 13 novembre 2010

PROSSIME PRESENTAZIONI

 Fra qualche giorno la prima importante presentazione del nostro libro a Torino (CIRCOLO DEI LETTORI) A breve ne seguirà un'altra altrettanto importante sempre a Torino IL 20 (CASA DEL QUARTIERE DI SAN SALVARIO)E poi.....ROMAAAA IL 2 DICEMBRE ALLE ORE 18 NELLA SEDE DI DEMOCRATICA IN via Tomacelli 146  scala b 4 piano


 Quando io ero piccolo và in televisione.Lunedì alle ore 20 ,chi non è in Piemonte lo può vedere in streaming a questo link
http://www.livestream.com/grptelevisione

giovedì 10 giugno 2010

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

 Presentazione del volume "QUANDO IO ERO PICCOLO Una selezione di racconti postati su facebook dal gruppo Quando io ero piccolo è diventata un'antologia e, tramite ilmiolibro.it, un caso di editoria online i cui proventi saranno devoluti all'associazione di volontariato Annulliamo la Distanza per progetti a favore dei bambini.


Dove e quando: Il... Circolo delle Passioni TORINO

mercoledì 16 giugno 2010 - 18.00

Prezzo: gratuitowww.torinocultura.it

venerdì 4 giugno 2010

il più venduto

..... Quando io ero piccolo è il più venduto di questa settimana sul sito Ilmiolibro.it, facciamolo diventare il più venduto in assoluto. A fine mese pubblicheremo le statistiche di vendita con la parte economica.

comprate il libro "QUANDO IO ERO PICCOLO"

Abbiamo cominciato per caso...così, solo per il piacere di raccontarsi... ed eravamo solo un pugno di nostalgici che raccontavano di quando erano piccoli.


Quando il gruppo su FB ha cominciato a crescere al di là di ogni pù ottimistica previsione, ha preso forma anche l'idea di pubblicare il libro e destinare i proventi sul conto di "Annulliamo la distanza" a favore dei bambini dell'Eritrea.

Grazie all'impegno di alcuni amici che hanno curato l'organizzazione, preso contatti, pianificato il progetto, come Agusto Montaruli, il sogno si è realizzato.

A volte la virtualità è più tangibile della più pragmatica realtà.

Adesso ci si aspetta uno slancio generosissimo da parte di tutti.

Il libro si acquista online presso ilmiolibro del gruppo Repubblica L'Espresso a questo link: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=456387.Il costo come sapete è di 15 € più le spese di spedizione



Nel libro sono pubblicati tre miei racconti ma vi assicuro che non avrei mai fatto pubblicità a me stesso (anche perchè non ho mai pensato di pubblicare nulla) ... Utilizzo l'elenco degli amici di FB per veicolare l'informazione su questa iniziativa perchè ritengo che possiate condividere la finalità che ci siamo posta.

"Se un'idea non sembra inizialmente assurda, allora è senza speranza". Albert Einstein

Forza amici...conto su di voi!

Linkate, pubblicate, replicate questo messaggio...insomma trasformatevi in generosa cassa di risonanza di solidarietà.

Grazie a tutti

Giuseppe De Santis

mercoledì 26 maggio 2010

ultimi aggiornamenti sul libro

Cari tutti,




vi aggiorno sullo stato dell'arte della pubblicazione del libro.



Il libro è caricato sul sito di ilmiolibro.it

e' stato definito il prezzo di vendita, 15 €

e' stato definito il prezzo di copertina 18 € (nel caso si vendesse in libreria)



Oggi ho ordinato due copie per fare le ultime verifiche sul prodotto finito.



Prevedo possa andare in vendita entro la fine della prossima settimana.

I proventi andranno direttamente sul conto di Annulliamo al distanza, la scheda di miolibro infatti riporta Bosisio come account in quanto legale rappresentante di annulliamo la distanza lombardia.



Questa edizione riporta un numero selezionato di racconti e di autori pervenuti entro dicembre dello scorso anno.

Se successo sarà, aggiungeremo aggiungeremo. Volendo anche su richiesta.



Tutti gli iscritti al gruppo riceveranno la richiesta di liberatoria per la pubblicazione.



Se avete o domande dubbi scrivetemi.



Un consiglio, ordinate più copie per ottimizzare i costi di spedizione.



Ciao

Augusto



venerdì 30 aprile 2010

Le foto in video


Bookmark and Share

In video una carrellata di fotografie di alcuni iscritti/autori del gruppo





venerdì 2 aprile 2010

TEX WILLER E ALTRE STORIE (di Fiordistella)

Onorina Vargiu Quand'ero piccola, non ci si rimbambiva ancora irreversibilmente davanti al televisore. Si guardavano alcuni programmi e basta. Poi, ci si buttava a capofitto nella lettura. Io ho imparato a leggere, come tutti, a sei anni e, da allora, e per qualche lustro, non mi sono fatta mancare niente.


Che cosa leggevamo, noi bambini di allora?



Tex Willer ha rappresentato il fumetto di culto di una generazione e l' incontro con lui, ma anche con Blek Macigno, Roddy e il professor Occultis, con capitan Miki, Salasso e Doppio Rhum, avveniva, in genere, verso i sette- otto anni, al termine di estenuanti letture di fiabe efferate, piene di orchi, streghe, bambini abbandonati , sorellastre cattive e cretine, matrigne attempate, e invidiose della giovinezza e della bellezza di fanciulle innocenti, che passavano i loro inutili giorni a domandare ad uno specchio inebetito:" Specchio, specchio delle mie brame: chi è la più bella del reame?"

E via, in un crescendo, da malati di mente, di mele avvelenate, di spine che pungono e mandano in catalessi per cent' anni, di pollicini svegli ma autolesionisti che, seminando sassi, ritrovano la via per tornare in una famiglia di scellerati, che sarebbe stato meglio dimenticare per sempre. Meglio soli che male accompagnati, no? Hansel e Gretel avrebbero, certo, preferito continuare a vagare soli nel bosco, alla ricerca di radici marce con cui sfamarsi, anzichè trovare comodo alloggio in una stia per polli, amorevolmente accuditi da una megera che forniva loro cibo succulento affinchè, una volta bene in carne, si disponessero graziosamente a fungere da bocconcino prelibato per le gengive sdentate della suddetta. Ma nelle fiabe i bambini sono, molto spesso, meno tonti degli adulti e Hansel e Gretel, muniti di opportuna zampa di pollo scarnificata, che presentavano in luogo delle paffute manine, traevano in inganno la vecchiaccia rimbambita, che continuava a nutrirli a dismisura, fino a liberazione avvenuta. Tutto è bene quel che finisce bene, ma simili racconti nefandi producevano traumi difficilmente superabili. Per fortuna, c' era Cappuccetto Rosso che, lungi dall' ingenerare angoscia, faceva morir dal ridere. Perchè era un concentrato di stupidità." La mamma mi dice di attraversare il bosco alla svelta, mentre vado a casa della nonna? E io mi ci perdo. Non per affermare la legittima volontà di assaporarne l'atmosfera e i profumi, ma perchè sono sbiellata, mi distraggo e svolazzo di qua e di là, fino a perdere l'orientamento. A chi chiedo lumi per arrivare a destinazione? Ma al lupo, naturalmente, che è una così brava personcina e ama tanto i bambini. Quando arrivo a casa della nonna e, anzichè l' amabile vecchietta, della quale ben conosco la fisionomia, trovo nel letto un essere peloso, provvisto di inconfondibili orecchie da lupo, con una bocca piena di inequivocabili denti da lupo, che emette una riconoscibilissima voce da lupo, che cosa faccio? Fuggo a gambe levate? No, lo scambio per la nonna, rimango lì a far conversazione e rivolgo domande babbee, in fiduciosa attesa che mi divori." Come può un bambino, intellettualmente normodotato, che si accosti alla favola per la prima volta, non tifare per il lupo che, in fondo, fa solo il suo onesto mestiere? E invece no: è Cappuccetto Rosso che si salva e che, presumibilmente, continuerà, giuliva, a far danni per il resto della vita. Sarebbe stato interessante che Perrault si fosse cimentato con il seguito della storia : ne avremmo viste delle belle. Nelle fiabe, ogni tanto, c' era anche un principe azzurro che, dall' alto della sua magnanimità, affrontava di petto la situazione e, con un bacetto distratto ma risolutore, risvegliava belle addormentate, in coma da decenni. Come a dire:" Se non ci fossimo noi uomini, che mai fareste, povere impedite?" Mi sono sempre chiesta se fosse il calore del bacio o il solletico della piuma, issata su un cappello inesorabilmente calato sul naso, anche in piena temperie romantica, a produrre il miracolo. E ' tanto strano, allora, che, a otto anni, si facesse un bel falò di libri di fiabe e si trovasse conforto nell' amico Tex? Ci veniva detto che era una lettura per maschietti, più che per femminucce, ma a chi aspirava a ricevere in regalo trattori e camion con cui giocare, l'obiezione appariva del tutto irrilevante. E allora cominciava la festa. Con Tex abbiamo imparato ad amare gli indiani Navajos e a schierarci dalla parte delle minoranze oppresse,ben prima che il film " Soldato blu" stigmatizzasse la perfidia dell' uomo bianco. Con Tex abbiamo imparato ad apprezzare gli uomini che non si parlano addosso, che praticano con coerenza un ideale di vita sobrio e austero, che sanno distinguere tra il bene e il male e che, al contempo, rifuggono, inorriditi, dalla tentazione di ergersi a baluardo della virtù. Con Tex abbiamo imparato a riconoscere e a stimare le persone serie e leali, quelle che non indulgono a biechi mezzucci per agguantare il consenso e che non temono di sfidare l' impopolarità. Con Tex abbiamo anche imparato che si può imprecare con fantasia: "Satanasso!" "Canaglie, che il diavolo vi porti !"

Per un bambino, è pur sempre una bella soddisfazione.



Ah! Per la cronaca: la mia infanzia è stata allietata anche dalla lettura de " Il monello"... Dove credete che abbia scovato il mio nickname, scusate? Su "Il monello", naturalmente :"Fiordistella, la reginetta del cielo".



L'infanzia non finisce proprio mai, se Dio vuole

Per un bambino, è pur sempre una bella soddisfazione.

Papà Pipu (di Fiordistella)

Quand'ero piccola, vivevo con i nonni paterni e avevo un particolare feeling con il nonno, che detestava essere chiamato "nonno" e che, essendo Giuseppe all'anagrafe, divenne ben presto Pippo, per tramutarsi poi in Pipu, acconcia denominazione per uno che vantava origini vogheresi oltrepadane da sette generazioni. Dunque, mio nonno paterno era papà Pipu.

Ero la prima nipote femmina, dopo due cugini maschi distratti e malmostosi: ero amatissima, coccolata e portata in palmo di mano, in quanto perentoria portatrice di caratteri genetici inequivocabili, quali la propensione non negoziabile a ritenere se stessi l'ombelico del mondo. Papa' Pipu mi portava a raccogliere le viole in primavera, a mangiare le pesche sul pesco in estate, a vendemmiare con lui in autunno, e in inverno diventava un pozzo inesauribile di favole, inventate o riportate. Nella casa di Voghera c'era una camera piuttosto grande, adibita a laboratorio per gli svaghi artigianali del nonno. Lì papà Pipu intagliava, scolpiva, cesellava, piallava. Era il suo regno, ed egli, benevolmente, mi ci faceva partecipe. In inverno, una grande stufa a legna riscaldava la stanza e papà Pipu e io, una vicino all'altro, ce la raccontavamo beatamente. Il nonno fumava la pipa e io non volevo essere da meno. Così, il nonno me ne costruì una con una rametto di salice e, accanto alla stufa che scoppiettava, mentre fuori il nebbione padano incombeva, fumando ambedue la nostra pipa ( io solo per finta, è chiaro),

il nonno raccontava e io ascoltavo. C'era una storia che mi piaceva particolarmente, anche perchè era ambientata in un paesino vicino a Voghera, che si chiama Retorbido, e che io conoscevo bene. Era la storia di Bertoldo. Papà Pipu raccontava...

C'era una volta, al tempo dei longobardi, un contadino dalle scarpe grosse e dal cervello fino che abitava a Casa Bertuggia, vicino a Mondondone, nel territorio del paese di Retorbido. Da queste parti aveva la sua residenza estiva anche re Alboino che un giorno lo convocò per alcuni lavoretti agricoli, lo ospitò per la notte e rimase colpito dal suo linguaggio plebeo ma pieno di acume, con il quale Bertoldo fustigava i potenti, rivendicando la dignità del contadino umiliato da secoli di schiavitù. Papà Pipu, di volta in volta, narrava un'impresa nuova e diversa di Bertoldo, ma terminava con il medesimo finale: non avvezzo al cibo leggero e raffinato della corte, Bertoldo morì perchè non aveva più potuto mangiare «rape e fagiuoli».

E concludeva, il nonno, con i versi dell'epitaffio di Bertoldo:



« In questa tomba tenebrosa e scura

giace un villan di sì difforme aspetto

che più d'orso che d'uomo avea figura,

ma di tant'alto e nobile intelletto

che stupir fece il mondo e la natura.

Mentr'egli visse fu Bertoldo detto;

fu grato al re, morì con aspri duoli

per non poter mangiar rape e fagioli. »



Io mi sganasciavo dalle risate e riprendevo a "fumare" la mia pipetta.

Quando ero grande (di Luigi)

---------------------------------------Quando ero "grande" ( di Luigi)



.....La cicogna mi ha consegnato, subito dopo la Seconda Guerra, in una famiglia medio-borghese che così ha potuto mettere sulla porta di casa il primo di quattro fiocchi azzurri in totale.Il secondo nastro dopo 14 mesi ed io provai a restare da subito figlio unico. Fu con un legno prelevato dalla scorta del camino che mi avvicinai a mia madre che si trovava a letto con il nuovo arrivato al suo fianco. No lellè, eu, eu! urlai e solo il gesto di autodifesa della puerpera salvò entrambi i bersagli privandomi del destino di Caino.Mi passò e presi a ben volere la nuova nascita che, perfino, cullavo nel suo lettino restando seduto per terra per farlo addormentare. Mio fratello Pasquale conserva ancora il nomignolo di "Lellè"Del resto il grande di casa ero io e ricoprivo il ruolo con determinazione dedicandomi alle piccole incombenze che mamma mi affidava per responsabilizzarmi; la pulizia dei pavimenti, la polvere dai mobili, i piatti, ecc, tutte mansioni che mi facevano sentire utile. Piccolo e già coscienzioso mi guadagnai così i galloni per piccoli acquisti nei negozietti di paese; mentre al mercato fornivo il meglio della mia prepotenza, non rispettando la fila che, con fare simpatico ma determinato, dribblavo. Attento ai soldi ed ai resti, mi si apriva allorizzonte la strada del Ragioniere. Pronto per la classe prima elementare, con le aste che mi aspettavano sui banchi di scuola, ci fu la terza bussata della cicogna a casa nostra e le cose si complicarono; aumentarono le incombenze e cerano anche i compitini ai quali dovevo dedicate tempo ed attenzione. Non mi scoraggiai e, oramai preparato, fui sempre più lometto di casa con mamma che attendeva anche allincarico di professoressa di lettere e papà occupato con la campagna, lallevamento dei cani, lattività di giudice cinofilo e scrittore/pubblicista, a tempo perso e per il suo diletto di tecnico della caccia. Feci appena in tempo a riscuotere il Premio Studio e Bontà, in quinta elementare, che ci fu lultimo toc toc della cicogna la quale, preso gusto, ci consegnò il piccolo di casa; quarto dei fratelli ed il più coccolato. Mio padre, anche cacciatore, mostrò al volatile dispettoso il suo fucile ed esso comprese che era il caso di dimenticare la strada della nostra casa.I quattro moschettieri erano pronti, di lì a poco, per scorrazzare per la campagna durante lestate, facendo disperare la mamma che li rincorreva - inutilmente - con il cucchiaione di legno. Quasi selvaggi che cercavano il contatto con la Natura rientrando in casa con le tasche piene di ogni animaletto ritrovato in giro.E’ arrivato così il tempo della maturazione ed io piccolo “grande” divenni, a poco a poco, adulto assumendomi tutte le responsabilità che la vita mi affidava, non ultima e la più bella, aprire alla cicogna che ci ha consegnato l’erede ancora noi nell'attesa di festeggiare il ventitreesimo genetliaco ed il diciannovesimo anno di età.

domenica 14 marzo 2010

NONNA ADELE (Di M.Antonietta -Fiordistella)

NONNA ADELE




Quand'ero piccola, avevo una vita sociale francamente penosa.

Ero figlia unica ( lo sarei rimasta fino a sei anni compiuti), non andavo all'asilo perchè sembrava brutto lasciare una bambina in balia di estranei per tot ore al giorno e, in aggiunta, avevo un innato pessimo carattere che mi rendeva scorbutica e selettiva negli approcci d'amicizia. Dunque, gli svaghi erano occasionali, riservati alla domenica pomeriggio, e condivisi rigorosamente con mamma e papà. A volte si andava al cinema, a volte dalle zie e dai cuginetti, a volte si faceva qualche gita in auto. Un appuntamento era fisso: una volta al mese, in bicicletta, si andava al cimitero a visitare i cari estinti. Un colpo di vita eccitantissimo.

Io avevo due nonni e una nonna: dunque, da un rapido calcolo, appariva chiaro che mi mancava una nonna. Mi mancava, infatti, la nonna Adele, la mamma della mamma.

La visita alla tomba della nonna materna, scomparsa prima che io nascessi, mi proponeva la riflessione sul tema della morte. Ma di quali strumenti dispone un bambino di cinque ani per comprenderne il significato? Mi sentivo ripetere che la nonna aveva tanto desiderato una nipotina, e che mi aveva amato ancor prima di sapere che sarei nata. Ma i conti non tornavano. Se tutto ciò era vero, perchè la nonna non mi aveva aspettato? Bugiarda. E bugiarda anche la mamma, che si ostinava a ripetermi parole alle quali non potevo credere. I ragionamenti di un bambino sono rudimentali, dominati da irragionevole egocentrismo e intrisi di una sorta di delirio di onnipotenza. Basta non voler morire, per non morire: che ci vuole? E poi la fotografia della nonna, sulla lapide, mi rimandava l'immagine di una donna ancora giovane, bella e sorridente, e un bambino pensa che le persone decidano di scomparire, per pudore, quando iniziano ad avvizzire lievemente, tendendo alla mela rugosa. Dunque, la nonna era doppiamente colpevole: di essere morta anzitempo, senza riflettere su ciò che stava facendo, e di essersene andata senza aspettarmi, dimostrando in tal modo di non essere interessata a conoscermi.

Tornavo a casa furibonda.



Sarebbe occorso qualche anno perchè mi riconciliassi, senza riserve, con la nonna che non avevo mai conosciuto

domenica 7 marzo 2010

Rolando Rambaldo (di M.Antonietta-Fiordistella)

Quand’ero piccola, avevo uno zio giovane e simpatico che si chiamava Rolando Rambaldo. Giocava molto con me, mi portava a passeggio e mi insegnò a non aver paura ad andare a cavallo. Anche ora ho uno zio, sempre lo stesso, anzianotto e brontolone, che continua a chiamarsi Rolando Rambaldo In genere, nelle famiglie, si tramandano i nomi bislacchi per non perdere la buona abitudine di creare qualche disagio educativo e formativo ai giovani virgulti: le difficoltà temprano, e chiamarsi in modo strambo irrobustisce lo spirito. Mio zio, infatti, è sempre stato molto robusto. Fu mio nonno ad imporgli il nome, nonostante la nonna lo avesse minacciato di arsenico nei maccheroni.Accadde forse per riguardo verso qualche antenato meritevole? O in odore di santità? O simpaticamente smandrappato? No.




Fu in ricordo di un cavallo.

Di un cavallo che fu inseparabile compagno del nonno, sottufficiale di cavalleria nella prima guerra mondiale.Di un cavallo che fu protagonista della conquista di Gorizia e della difesa della linea del Piave. Di un cavallo che fu sacrificato dal nonno, nel momento di massima diffusione della spagnola fra i suoi soldati, per dare ad ognuno di loro qualche scodella di brodo che ne alleviasse le sofferenze. Il nonno e il suo cavallo salvarono non poche vite umane.Il nonno non dimenticò mai il suo cavallo e, dopo aver onorato il padre e il suocero imponendo al primo figlio maschio, mio padre, i loro rispettivi nomi, onorò il suo cavallo imponendone il nome al secondogenito maschio, ad imperitura memoria.

Mio zio, comunque, si è sempre fatto chiamare Rol.

martedì 2 marzo 2010

quando io eo piccolo e annulliamo la distanza (nota di Enrico Bosisio)

ref=ts ... La realizzazione del Libro di Racconti “Quando io ero piccolo” è un progetto bellissimo perché in esso convergono due obiettivi particolarmente attraenti: creare un’opera ricca di sentimenti, di emozioni e di serenità dei bambini che siamo stati, un patrimonio da condividere con i nostri figli e far conoscere e sostenere i progetti di un’Associazione come Annulliamo la Distanza che opera da anni a favore dei Bambini eritrei per creare alcune condizioni di base per un’infanzia serena, quell’infanzia serena che si ritrova in moltissimi di questi raccontirg - opera da oltre 10 anni a favore dei bambini eritrei con progetti concreti in ambino sanitario ed educativo, collaborando con le istituzioni eritree e con l’appoggio di istituzioni pubbliche e private italiane.


Il progetto più recente su cui sono oggi concentrati i nostri sforzi è “Camminiamo insieme” progetto di ortopedia pediatrica che sarà realizzato in collaborazione con l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, L'Ospedale Halibet di Asmara e il Ministero della Sanità del Governo Eritreo

L’obiettivo è curare le principali malformazioni ortopediche dei bambini in tenera età, mettendo a disposizione del personale medico locale attrezzature semplici ma soprattutto competenze e formazione sul campo per renderli autonomi. Il progetto si articolerà su almeno 4 spedizioni a partire da giugno 2010. Si prevede durante le 4 spedizioni di curare oltre 150 bambini, sottoponendone a intervento chirurgico circa il 60%, in affiancamento a ortopedici eritrei http://www.annulliamoladis. /camminiamo-insieme

A questo progetto vogliamo dedicare la collaborazione nascente tra Annulliamo la Distanza e lo stupendo Gruppo “Quando io ero piccolo”

Insieme possiamo fare piccole-grandi cose.























http://www.annulliamoladis






http://www.annulliamoladis

















http://www.annulliamoladis

lunedì 1 marzo 2010

Patrizio (di Fiordistella)

Quand'ero piccola, abitavo a Voghera, in strada Torrazza Coste.



Oltre il cancello di casa mia, e al di là della via che ci divideva, c'era una stradina che conduceva ad una piccola borgata, chiamata Casa Tossa. Gli abitanti saranno stati una ventina in tutto e, fra essi, c'era Patrizio. Patrizio aveva la mia età e, dunque, non superava i quattro anni. Era bruno, occhi scuri, esilino, erre moscia. Anch'io avevo quattro anni, ed ero bionda, occhi azzurri, robustina, erre moscia.Ero sempre appiccicata al cancello poiché, non avendo, allora, fratelli o sorelle con cui malmenarmi, dovevo pur passare il tempo, e Mustafà, a volte, aveva altro da fare. Guardavo passare le rare macchine, salutavo le donne che pedalavano frettolose, e aspettavo Patrizio. Lo aspettavo ogni giorno, dal mattino in cui, giunto con la mamma al termine della sua stradina, e incurante delle eventuali automobili che si fossero trovate a passare sulla strada che ci divideva, si fiondò contro il mio cancello e buttò in cortile una manciata di caramelle mezzo scartocciate. Io stavo mangiando pane e marmellata e interpretai il gesto come un atto di aggressione: le raccolsi e gliele rilanciai, urlando qualcosa di poco carino. Lui fece una faccetta sconsolata e si girò per andarsene. Allora compresi le nobili intenzioni e lo richiamai per ringraziarlo. Ho sempre odiato i lunghi discorsi e, a quattro anni, non si è certo abili oratori. Dunque, mi sembrò più sbrigativo prenderlo per il collo, attraverso le sbarre di ferro del cancello, e sbaciucchiarlo sulla faccia. Non prima di aver addentato un altro morso di pane. Così, anche lui poté apprezzare la marmellata di albicocche della nonna. Da allora, ci vedemmo e ci baciammo ogni giorno, per tutta l'estate. Un giorno di settembre, in pieno periodo di vendemmia, una donna che andava in bicicletta verso le colline dell'Oltrepò a raccogliere l'uva, rallentò di fronte a noi due che ci stavamo baciando attraverso il cancello ed esclamò: " Oh! Varda lì, i murusei! ( Oh! Guarda lì, i fidanzatini!)". E lo disse con una tale malizia nella voce da farci vergognare come ladri. Io corsi in casa e Patrizio rimase in piedi, oltre il cancello, con la sua mamma, per una manciata di secondi. Poi tornò a casa e, da quel giorno, non ci baciammo più. Ci vedevamo, parlottavamo, ci scambiavamo regalini attraverso il cancello. Ma non ci baciammo più. Dopo un paio di mesi, Patrizio traslocò. E non lo vidi più.

venerdì 26 febbraio 2010

Mustafà ( di Fiordistella)

Diana Catellani Copio e incollo qui il racconto dell'amica blogger M. Antonietta:


Quando ero piccola, avevo una gatta tricolore, bianca rossa e nera, che si chiamava Mustafà.



Mustafà è un nome maschile e la gatta, in effetti, era molto poco femminile. Aveva una decina d’anni felini che corrispondono, grosso modo, a una cinquantina d’anni umani.



Era, dunque, una sorta di zia di mezz’età, robusta, muscolosa e manesca. Picchiava di santa ragione i gatti che incautamente le si avvicinassero per socializzare, e tramortiva le talpe che, in primavera, risvegliatesi dal letargo, si affacciavano sonnacchiose all’ingresso della loro tana. Le tramortiva con poderose zampate, ma non le uccideva. E neppure ci si trastullava: le accoglieva semplicemente a suon di schiaffoni. Le talpe ci rimanevano male e, il più delle volte, rientravano intontite e contrariate nei loro anfratti, per riuscirne durante la notte, quando Mustafà, stanca delle fatiche quotidiane, ronfava beata nel suo cesto di vimini. Con me, invece, bimba di pochi anni, Mustafà era affettuosissima, permissiva e accudente. Potevo tirarle i baffi e stropicciarle le orecchie senza temere ritorsioni, quando sarebbe bastato molto meno a chiunque per divenire oggetto delle sue permalose attenzioni. Saltava sul mio lettino e mi svegliava con carezze delicate sulle guance, a unghie rigorosamente rinfoderate e, ove ciò non bastasse a sciogliermi dal sonno, procedeva con ruvide linguate sulla fronte. Allora abitavo in una grande casa, nell’immediata periferia della città, immersa nel verde della campagna. Oltre a papà e mamma, c’erano anche i nonni paterni e uno zio giovane e simpatico. Il nonno coltivava l’orto e, al tempo delle fragole, ero sempre in giro per i campi a cercare le più mature. Mustafà non mi mollava un momento, e mi precedeva lungo i sentieri per evitarmi gli inciampi sul terreno irregolare. Ogni tanto la mamma mi chiamava per sincerarsi che non mi fossi allontanata troppo, e Mustafà rispondeva, in vece mia, con mugolii modulati che stavano a significare” tranquilla, è qui con me, e tra un po’ ritorneremo”. Era una baby sitter affidabilissima. Trascorsi tutta la mia infanzia con lei, e lei trascorse la sua maturità e la sua vecchiaia con me. Vivemmo in simbiosi per quasi dieci anni. Mustafà morì di vecchiaia a diciott’anni, e fu una morte dolce e serena, accompagnata dalle lacrime copiose di una bambina che l’aveva amata molto e che lei amò con tutta se stessa.

La vigilia del soldato (ovvero,storie di zeppole e di tiri mancini)

 Il 24 dicembre del 1954 avevo poco più di undici anni. Era un mercoledì, o forse un giovedì, perché era giorno di mercato, ed era una bellissima giornata di sole tiepido come solo in Calabria si può avere alla vigilia di Natale. Nell’aria il profumo delle zeppole fritte con l’acciuga solleticava le narici e metteva allegria perché in ogni casa si stava preparando il cenone della vigilia. Le zeppole erano una delle tredici cose che dovevano essere portate in tavola. Tredici, non una di meno, non una di più. Secondo la radio ed il “Vittorioso” quello doveva essere tempo di gelo e neve. Anche nel mio libro di lettura, o forse nel sussidiario, le figure rappresentavano abeti imbiancati, bufere di neve e personaggi ammantati con pelli di pecora. Io, però, quella mattina ero andato all’oratorio in maniche di camicia ma, per la verità, mia madre mi aveva rincorso per darmi una giacchettina di lana grigia. Ero corso via senza la giacca perché non mi piaceva, ma anche perché non volevo fare tardi per la consegna del distintivo dell’Azione Cattolica. Nonostante la fretta, però, avevo fatto in tempo a fare un salto in cucina per afferrare la zeppola più grossa, appena tolta dalla padella. Mia nonna protestò perché diceva che mangiandole prima, l’olio della padella sarebbe evaporato più velocemente e provò inutilmente a riprendersela. Scappai via, ma riuscìì a sentire che ero il bambino più “scomunicato” del paese. Per “scomunicato” la nonna intendeva fortunatamente soltanto “monello” e nulla più. Poco male, pensai correndo con la bocca piena.All’oratorio arrivai in tempo per l’appello. La saletta attigua alla chiesa era stracolma di aspiranti “Soldati di Cristo”. Don Giuseppe, paramenti sacri delle funzioni solenni, era in piedi dietro un tavolo con la tovaglia bianca dell’altare. Alla sua destra c’era il Presidente provinciale dell’Azione Cattolica con un cesto colmo di distintivi e di tessere nominative. Alla sua sinistra, il sacrestano con l’acqua santa e l’aspersorio per la benedizione del cesto. Noi ragazzi eravamo una ventina schierati, petto in fuori, a ridosso della parete semicircolare. L’ora fatidica stava per scoccare. Erano giorni, settimane, che ci preparavamo all’appuntamento ed avevamo i cuori colmi di orgoglio perché stavamo per entrare nelle “Legioni di Cristo” per la difesa della Fede. Io fremevo e non vedevo l’ora di vestire la “divisa”, come veniva chiamato il distintivo. Ero pronto a versare il mio sangue fino all’ultima goccia per la difesa della fede, come aveva chiesto il Professor Gedda, il Presidente Nazionale, nel suo messaggio ai nuovi soldati di Cristo. Se lo diceva lui che aveva fondato i Comitati Civici e, per giunta, era anche un grande genetista esperto di gravidanze e parti gemellari (però l’una e l’altra cosa non sapevo cosa c’entrassero), dovevo proprio votarmi al sacrificio estremo. Del resto, l’inno che Don Giuseppe ci aveva insegnato per l’occasione parlava chiaro:siamo arditi della fede,


siamo arditi della croce

Al tuo cenno e alla tua voce

un esercito all'altar

un esercito all'altar Partì il canto. Tutti ci irrigidimmo sull’attenti, petto in fuori ed occhi ardenti, ed io mi sentii investito da responsabilità decisive perché stavamo scrivendo la Storia. A confronto con ciò che avremmo fatto noi, le Crociate per la liberazione del Santo Sepolcro erano state allegre scampagnate fuori porta.Alle dodici e dieci, per la sala si diffuse inspiegabilmente un irresistibile ed irriguardoso odore di zeppole. Da quel momento la cerimonia subì un’ evidente accelerazione e alle dodici e mezza era tutto finito. Sulla via del ritorno ero letteralmente galvanizzato. Attorno a me vedevo solo nemici della Fede e pensavo a come armarmi. Mi venne in mente che Don Giuseppe ed il presidente avevano dimenticato di dirci con quali armi avremmo dovuto combattere, ma conclusi che forse lo avrebbero fatto con una circolare di lì a breve. Ovvio: una cosa così importante andava stabilita per iscritto.Entrai in casa con la fierezza di Riccardo Cuor di Leone e buttai uno sguardo disgustato su quelle donnicciole intente a friggere, impastare, tritare, infarinare, sbattere uova, decorare. Che insulse attività! La Fede chiamava e loro, le miserabili, cuocevano il baccalà! Avessi già avuto la spada, avrei dato io una bella lezione a mia madre, a mia nonna e a mia zia che invece di lucidare le armi, strofinavano pentole e padelle.Quella che più mi irritava era mia nonna che aveva pure tentato di riappropriarsi della zeppola. Aveva finito di friggere le zeppole che aveva nascosto chissà dove e stava armeggiando attorno al fuoco con due grossi capponi. Cosa faceva l’infedele? China in avanti con la testa quasi sulla fiamma, stava bruciacchiando le superstiti piume attorno alle zampe e attorno al collo del gallinaceo che poco prima aveva spennato a dovere, previa adeguata immersione in acqua bollente. Dietro di lei, una sgangherata sedia impagliata sulla quale si sedeva di tanto in tanto per riposarsi dalla scomoda posizione. Natale o no, la vecchia doveva essere punita perché era lei la responsabile di quel trambusto che aveva distolto tutti dall’attenzione al fatidico evento della mia consacrazione a “Soldato di Cristo”. Ero, dunque, un soldato ed il soldato è uomo d’azione. La nonna era lì e dovevo passare all’azione. L’occasione era buona per saggiare il coraggio e la determinazione. E se al posto della nonna ci fosse stato un nemico della Fede? Pancrazio e Tarcisio, i santi martiri cristiani, che avrebbero fatto? Non ebbi dubbi ed, anzi, immaginai che fossero loro a spronarmi. Nonna Carmela era buona come il pane ed io, il nipote “scomunicato”, ero il suo prediletto. La riconoscenza, però, non è di questo mondo e quando arriva l’ora fatale, non ci può essere affetto che tenga.Il primo pollo era già stato sistemato e del secondo restavano solo le penne del collo e quelle delle punte delle ali, le più dure. Finite le ali, prima di passare al collo, la nonna certamente si sarebbe seduta nuovamente per riposarsi. Il movimento era sempre lo stesso e non c’era bisogno di girarsi per accertarsi che la sedia fosse al suo posto perché, tra l’altro, la poteva sentire sfiorandola col sedere o con le gambe.Mia madre si era allontanata per pulire i broccoletti siciliani per la pizza rustica, mia zia era andata dalla sorella a farsi prestare altre sei uova, dopo le trentasei avute la sera prima, mio nonno e mio padre ancora non erano tornati dal mercato, dei miei fratelli non c’era traccia nei dintorni, dunque nella grande cucina affumicata c’eravamo solo la nonna ed io.Senza il minimo rumore, col passo della lepre sulla neve, mi avvicinai, tolsi la sedia e altrettanto silenziosamente schizzai via dalla cucina. Il tempo di arrivare nell’altra stanza ed un lacerante urlo di dolore si udì a trecento metri di distanza.Accorse tutto il parentado ed il vicinato e la nonna fu portata a fatica sul suo letto.A chi le chiedeva come avesse fatto a non rendersi conto che la sedia non c’era, rispondeva che si era spostata di lato senza accorgersene.Quella sera il cenone fu piuttosto triste ed io mi sentivo il responsabile di quel mortorio.Al momento delle zeppole l’eccitazione del Soldato mi era passata completamente. Ne presi una calda calda e la portai alla nonna. Tutti annuirono compiaciuti e un po’sorpresi, ma nessuno fece commenti. Mi avvicinai al letto con gli occhi pieni di lacrime. La nonna si girò lentamente con una smorfia di dolore e non si stupì di vedermi. Non dimenticherò mai lo sguardo tenerissimo che mi diede ed il dito sulla bocca serrata per assicurarmi che non avrebbe fatto la spia.

Buon Natale nonna,ovunque tu sia



Enzo Movilia

giovedì 25 febbraio 2010

02 Giugno 2009 ( Quanta strada!!!)

Il due giugno 2009 scrivevo il mio primo racconto .
Vorrei ringraziare Alberto  per aver  dato vita a questo gruppo e anche per avermi incoraggiato a scrivere.
E,in tema di ringraziamenti,non posso dimenticare Augusto che con il suo entusiasmo e la sua fantasia geniale ha  fatto si che questo gruppo diventasse sempre più bello e coinvolgente per tutti quelli che ne fanno parte.Siamo a  un passo dai 2000 iscritti,abbiamo centinaia di racconti,pezzetti di vita di ognuno di noi.
Ci siamo divertiti e commossi leggendoci reciprocamente,imparando così a conoscerci anche senza esserci mai incontrati fisicamente, anche abitando a migliaia di chilometri di distanza,persino in altri continenti.
Ragazzi,non sò per voi, per me è un'esperienza umana straordinaria.E poi...lo splendido progetto che è legato a questo gruppo e  di cui però vorrei fosse Alberto a parlarne.Io mi fermo quì.
Di seguito :"S'abba de santu juanne" (L'acqua di San Giovanni) --------              Quando ero piccola la mattina del 24 giugno giorno dedicato a san giovanni del mare(anche se a Concas non c'è il mare) era usanza di andare a prendere l'acqua e raccogliere erbe aromatiche prima del sorgere del sole,perchè ,dicevano i vecchi, cosi ,l'acqua e le erbe erano benedette.


ricordo che io avevo sempre il timore di non svegliarmi in tempo e spesso non riuscivo a prendere sonno.Verso le cinque del mattino si sentiva il chiacchiericcio e le risatine soffocate delle ragazze ,tutte più grandi di me,le più brave con le brocche,le altre,meno esperte con le pentole in alluminio.Scendevamo in fila indiana per il sentiero stretto che porta a "sa funtanedda"una fonte naturale incastonata nelle rocce che si trova all' interno di un terreno di proprietà della mia famiglia e da dove per tutta l''estate

attingevano per bere tutti gli abitanti della frazione,acqua freschissima e leggera.Era di rigore che dovevamo essere di rtorno a casa prima che il cielo schiarisse annunciando l'alba.il giorno di san giovanni era sempre molto atteso da noi femminuce perchè si diceva che ,badando alla prima persona (di sesso maschile)che si incontrava al mattino avremmo saputo il nome ole iniziali del nome del futuro marito....anche se poi ....ogni anno uscivano nomi diversi,questo non ci toglieva per un anno il piacere di fantasticare....si chiamerà Paolo o Pietro oppure Pasquale?

Onorina

venerdì 12 febbraio 2010

Aggiornamento sullo stato del progetto


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Con questa nota vogliamo aggiornarvi sullo stato del progetto "Quando io ero piccolo".

Il successo del gruppo che ha visto le adesioni arrivare a quasi 1800 iscritti con oltre 200 racconti scritti e "regalati" ci ha spronati a prendere una decisione in merito alla pubblicazione del libro.
Abbiamo abbandonato, per il momento, la ricerca di una casa editrice disponibile a pubblicarci.
Abbiamo pensato di utilizzare le risorse della rete e di mettere in vendita il libro on line.

Chiaramente questa operazione deve essere molto, ma molto trasparente e nessuno degli ideatori e curatori del gruppo dovrà essere coinvolto in prima persona nella gestione degli eventuali introiti che dovessero provenire dalla vendita del libro.

Con la Onlus ANLADI ( Annulliamo la distanza) abbiamo convenuto quanto segue.

1. Pubblicazione del libro attraverso internet, da decidere se farlo utilizzando i servizi di mio libro di Repubblica.it (http://ilmiolibro.kataweb.it/) o Lulu ( www.lulu.com ). Il criterio di scelta saranno i costi, qualità, visibilità.
2. La gestione della pubblicazione e dei ricavi sarà a carico di ANLADI che relazionerà a tutti gli iscritti al gruppo.
3. Abbiamo individuato il progetto a cui devolvere i ricavi. Il progetto riguarda interventi periodici (una volta al mese per 5 mese) di chirurgia ortopedica che medici del Rizzoli di Bologna effettueranno ad Asmara (Eritrea) a bambini con malformazioni agli arti. Il progetto è rivolto anche a formare i chirurghi eritrei. ANLADI ci relazionerà sull'andamento del progetto.
4. Entro fine febbraio incontreremo a Milano il team che studierà gli aspetti grafici, di editing e di controllo dei testi. Ovviamente questa è un'attività di puro volontariato.
5.Il libro sara contraddistinto dal logo di Quando io ero piccolo e dal logo di ANLADI.
6. Stiamo valutando se pubblicare anche una versione ebook

L'avventura continua. Continuate a diffondere l'esistenza e la bellezza del nostro gruppo.
Diffondete anche questa nota e il blog.

A presto con i prossimi aggiornamenti.

Alberto Augusto Eleonora Onorina

http://www.facebook.com/group.php?gid=85561899252&ref=ts

martedì 9 febbraio 2010

"Adozione a distanza"



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Il nostro gruppo è stato adottato.
La scuola di teatro,  cinema e danza, il Faro Teatrale di Milano ha aperto una sezione nel suo sito internet ( http://www.faroteatrale.it/ ) dedicata alla nostra iniziativa.

E' significativo che una scuola di teatro trovi interessante e stimolate quello che noi facciamo. E anche gratificante.

La pagina la potete consultare qui.


mercoledì 3 febbraio 2010

Presentazione

Siete sul blog del gruppo Facebook "Quando io ero piccolo"  nato da una iniziativa di Alberto Giarrizzo e da una idea semplicissima: archiviare le storie della sua infanzia, quelle che Alberto raccontava periodicamente a sua figlia (per farla mangiare o in viaggio) e che a lei piacevano tantissimo, a un punto tale che gliele richiedeva sempre. Da questo primo spunto, il gruppo è diventato un luogo aperto a tutti, nel quale le persone hanno ritenuto, liberamente, di raccontare e conservare i ricordi della propria infanzia. Sono, quindi, arrivati i primi racconti e le prime adesioni. Lo scopo principale quindi si è leggermente modificato ed è diventato quello di raccontare e condividere ricordi. Un gruppo nel quale chi aderisce è anche parte attiva e viva di una memoria collettiva.

Visto il discreto successo, ci siamo chiesti cosa avremmo dovuto fare con i racconti che arrivavano. Ad Augusto Montaruli è venuta l'idea di farne un libro, ovviamente senza scopo di lucro (abbiamo tutti di che vivere: siamo dipendenti, pensionati o lavoratori autonomi, ecc.). Di certo non abbiamo alcun interesse ad arricchirci con i proventi di questo ipotetico libro. Basta poter recuperare le spese di pubblicazione e di stampa, che obiettivamente sconosciamo, e destinare tutto il resto in beneficienza. Augusto ha un amico, che dirige una Onlus "Annulliamo la distanza" (ecco il link al sito internet:http://www.annulliamoladistanza.com/) che si occupa di infanzia in Eritrea. Quale destinazione migliore e in sintonia con il gruppo?

In questo momento abbiamo oltre 170 racconti scritti da una sessantina di "soci".

Per quanto riguarda il libro avevamo iniziato la ricerca di un editore, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato meglio raggiungere un numero di iscritti, che rendesse il gruppo maggiormente "visibile" ed è da questa motivazione che è nato l'obiettivo di raggiungere quota 1000. Ci stiamo arrivando. Nel momento in cui lo realizzeremo, potremmo anche creare un gruppo di lavoro, per decidere se contattare direttamente gli editori o passare attraverso uno sponsor. Le idee qui non sono chiarissime e tutti i contributi sono graditi.

Augusto sta curando un documento word, che aggiorna e rende disponibile a tutti gli iscritti in formato PDF. Per inciso un correttore di bozze servirebbe tantissimo. Ovviamente, all'atto della eventuale pubblicazione, chiederemo una sorta di liberatoria a ciascuno di voi, nella vesta di autori, allo scopo di autorizzare la casa editrice a pubblicare il racconto.

Se avete bisogno di ulteriori informazioni, potete sempre contattare uno degli amministratori del gruppo. Se non intendete aderire alla eventuale pubblicazione del vostro racconto, sarete liberissimi di negare l'autorizzazione all'editore. Non c'è alcun problema da parte nostra. Nessuno deve sentirsi in alcun modo obbligato. Il gruppo è aperto a chiunque intenda farne parte, e chiunque può decidere di uscire o di farne parte sono in modo parziale.