venerdì 30 aprile 2010

Le foto in video


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In video una carrellata di fotografie di alcuni iscritti/autori del gruppo





venerdì 2 aprile 2010

TEX WILLER E ALTRE STORIE (di Fiordistella)

Onorina Vargiu Quand'ero piccola, non ci si rimbambiva ancora irreversibilmente davanti al televisore. Si guardavano alcuni programmi e basta. Poi, ci si buttava a capofitto nella lettura. Io ho imparato a leggere, come tutti, a sei anni e, da allora, e per qualche lustro, non mi sono fatta mancare niente.


Che cosa leggevamo, noi bambini di allora?



Tex Willer ha rappresentato il fumetto di culto di una generazione e l' incontro con lui, ma anche con Blek Macigno, Roddy e il professor Occultis, con capitan Miki, Salasso e Doppio Rhum, avveniva, in genere, verso i sette- otto anni, al termine di estenuanti letture di fiabe efferate, piene di orchi, streghe, bambini abbandonati , sorellastre cattive e cretine, matrigne attempate, e invidiose della giovinezza e della bellezza di fanciulle innocenti, che passavano i loro inutili giorni a domandare ad uno specchio inebetito:" Specchio, specchio delle mie brame: chi è la più bella del reame?"

E via, in un crescendo, da malati di mente, di mele avvelenate, di spine che pungono e mandano in catalessi per cent' anni, di pollicini svegli ma autolesionisti che, seminando sassi, ritrovano la via per tornare in una famiglia di scellerati, che sarebbe stato meglio dimenticare per sempre. Meglio soli che male accompagnati, no? Hansel e Gretel avrebbero, certo, preferito continuare a vagare soli nel bosco, alla ricerca di radici marce con cui sfamarsi, anzichè trovare comodo alloggio in una stia per polli, amorevolmente accuditi da una megera che forniva loro cibo succulento affinchè, una volta bene in carne, si disponessero graziosamente a fungere da bocconcino prelibato per le gengive sdentate della suddetta. Ma nelle fiabe i bambini sono, molto spesso, meno tonti degli adulti e Hansel e Gretel, muniti di opportuna zampa di pollo scarnificata, che presentavano in luogo delle paffute manine, traevano in inganno la vecchiaccia rimbambita, che continuava a nutrirli a dismisura, fino a liberazione avvenuta. Tutto è bene quel che finisce bene, ma simili racconti nefandi producevano traumi difficilmente superabili. Per fortuna, c' era Cappuccetto Rosso che, lungi dall' ingenerare angoscia, faceva morir dal ridere. Perchè era un concentrato di stupidità." La mamma mi dice di attraversare il bosco alla svelta, mentre vado a casa della nonna? E io mi ci perdo. Non per affermare la legittima volontà di assaporarne l'atmosfera e i profumi, ma perchè sono sbiellata, mi distraggo e svolazzo di qua e di là, fino a perdere l'orientamento. A chi chiedo lumi per arrivare a destinazione? Ma al lupo, naturalmente, che è una così brava personcina e ama tanto i bambini. Quando arrivo a casa della nonna e, anzichè l' amabile vecchietta, della quale ben conosco la fisionomia, trovo nel letto un essere peloso, provvisto di inconfondibili orecchie da lupo, con una bocca piena di inequivocabili denti da lupo, che emette una riconoscibilissima voce da lupo, che cosa faccio? Fuggo a gambe levate? No, lo scambio per la nonna, rimango lì a far conversazione e rivolgo domande babbee, in fiduciosa attesa che mi divori." Come può un bambino, intellettualmente normodotato, che si accosti alla favola per la prima volta, non tifare per il lupo che, in fondo, fa solo il suo onesto mestiere? E invece no: è Cappuccetto Rosso che si salva e che, presumibilmente, continuerà, giuliva, a far danni per il resto della vita. Sarebbe stato interessante che Perrault si fosse cimentato con il seguito della storia : ne avremmo viste delle belle. Nelle fiabe, ogni tanto, c' era anche un principe azzurro che, dall' alto della sua magnanimità, affrontava di petto la situazione e, con un bacetto distratto ma risolutore, risvegliava belle addormentate, in coma da decenni. Come a dire:" Se non ci fossimo noi uomini, che mai fareste, povere impedite?" Mi sono sempre chiesta se fosse il calore del bacio o il solletico della piuma, issata su un cappello inesorabilmente calato sul naso, anche in piena temperie romantica, a produrre il miracolo. E ' tanto strano, allora, che, a otto anni, si facesse un bel falò di libri di fiabe e si trovasse conforto nell' amico Tex? Ci veniva detto che era una lettura per maschietti, più che per femminucce, ma a chi aspirava a ricevere in regalo trattori e camion con cui giocare, l'obiezione appariva del tutto irrilevante. E allora cominciava la festa. Con Tex abbiamo imparato ad amare gli indiani Navajos e a schierarci dalla parte delle minoranze oppresse,ben prima che il film " Soldato blu" stigmatizzasse la perfidia dell' uomo bianco. Con Tex abbiamo imparato ad apprezzare gli uomini che non si parlano addosso, che praticano con coerenza un ideale di vita sobrio e austero, che sanno distinguere tra il bene e il male e che, al contempo, rifuggono, inorriditi, dalla tentazione di ergersi a baluardo della virtù. Con Tex abbiamo imparato a riconoscere e a stimare le persone serie e leali, quelle che non indulgono a biechi mezzucci per agguantare il consenso e che non temono di sfidare l' impopolarità. Con Tex abbiamo anche imparato che si può imprecare con fantasia: "Satanasso!" "Canaglie, che il diavolo vi porti !"

Per un bambino, è pur sempre una bella soddisfazione.



Ah! Per la cronaca: la mia infanzia è stata allietata anche dalla lettura de " Il monello"... Dove credete che abbia scovato il mio nickname, scusate? Su "Il monello", naturalmente :"Fiordistella, la reginetta del cielo".



L'infanzia non finisce proprio mai, se Dio vuole

Per un bambino, è pur sempre una bella soddisfazione.

Papà Pipu (di Fiordistella)

Quand'ero piccola, vivevo con i nonni paterni e avevo un particolare feeling con il nonno, che detestava essere chiamato "nonno" e che, essendo Giuseppe all'anagrafe, divenne ben presto Pippo, per tramutarsi poi in Pipu, acconcia denominazione per uno che vantava origini vogheresi oltrepadane da sette generazioni. Dunque, mio nonno paterno era papà Pipu.

Ero la prima nipote femmina, dopo due cugini maschi distratti e malmostosi: ero amatissima, coccolata e portata in palmo di mano, in quanto perentoria portatrice di caratteri genetici inequivocabili, quali la propensione non negoziabile a ritenere se stessi l'ombelico del mondo. Papa' Pipu mi portava a raccogliere le viole in primavera, a mangiare le pesche sul pesco in estate, a vendemmiare con lui in autunno, e in inverno diventava un pozzo inesauribile di favole, inventate o riportate. Nella casa di Voghera c'era una camera piuttosto grande, adibita a laboratorio per gli svaghi artigianali del nonno. Lì papà Pipu intagliava, scolpiva, cesellava, piallava. Era il suo regno, ed egli, benevolmente, mi ci faceva partecipe. In inverno, una grande stufa a legna riscaldava la stanza e papà Pipu e io, una vicino all'altro, ce la raccontavamo beatamente. Il nonno fumava la pipa e io non volevo essere da meno. Così, il nonno me ne costruì una con una rametto di salice e, accanto alla stufa che scoppiettava, mentre fuori il nebbione padano incombeva, fumando ambedue la nostra pipa ( io solo per finta, è chiaro),

il nonno raccontava e io ascoltavo. C'era una storia che mi piaceva particolarmente, anche perchè era ambientata in un paesino vicino a Voghera, che si chiama Retorbido, e che io conoscevo bene. Era la storia di Bertoldo. Papà Pipu raccontava...

C'era una volta, al tempo dei longobardi, un contadino dalle scarpe grosse e dal cervello fino che abitava a Casa Bertuggia, vicino a Mondondone, nel territorio del paese di Retorbido. Da queste parti aveva la sua residenza estiva anche re Alboino che un giorno lo convocò per alcuni lavoretti agricoli, lo ospitò per la notte e rimase colpito dal suo linguaggio plebeo ma pieno di acume, con il quale Bertoldo fustigava i potenti, rivendicando la dignità del contadino umiliato da secoli di schiavitù. Papà Pipu, di volta in volta, narrava un'impresa nuova e diversa di Bertoldo, ma terminava con il medesimo finale: non avvezzo al cibo leggero e raffinato della corte, Bertoldo morì perchè non aveva più potuto mangiare «rape e fagiuoli».

E concludeva, il nonno, con i versi dell'epitaffio di Bertoldo:



« In questa tomba tenebrosa e scura

giace un villan di sì difforme aspetto

che più d'orso che d'uomo avea figura,

ma di tant'alto e nobile intelletto

che stupir fece il mondo e la natura.

Mentr'egli visse fu Bertoldo detto;

fu grato al re, morì con aspri duoli

per non poter mangiar rape e fagioli. »



Io mi sganasciavo dalle risate e riprendevo a "fumare" la mia pipetta.

Quando ero grande (di Luigi)

---------------------------------------Quando ero "grande" ( di Luigi)



.....La cicogna mi ha consegnato, subito dopo la Seconda Guerra, in una famiglia medio-borghese che così ha potuto mettere sulla porta di casa il primo di quattro fiocchi azzurri in totale.Il secondo nastro dopo 14 mesi ed io provai a restare da subito figlio unico. Fu con un legno prelevato dalla scorta del camino che mi avvicinai a mia madre che si trovava a letto con il nuovo arrivato al suo fianco. No lellè, eu, eu! urlai e solo il gesto di autodifesa della puerpera salvò entrambi i bersagli privandomi del destino di Caino.Mi passò e presi a ben volere la nuova nascita che, perfino, cullavo nel suo lettino restando seduto per terra per farlo addormentare. Mio fratello Pasquale conserva ancora il nomignolo di "Lellè"Del resto il grande di casa ero io e ricoprivo il ruolo con determinazione dedicandomi alle piccole incombenze che mamma mi affidava per responsabilizzarmi; la pulizia dei pavimenti, la polvere dai mobili, i piatti, ecc, tutte mansioni che mi facevano sentire utile. Piccolo e già coscienzioso mi guadagnai così i galloni per piccoli acquisti nei negozietti di paese; mentre al mercato fornivo il meglio della mia prepotenza, non rispettando la fila che, con fare simpatico ma determinato, dribblavo. Attento ai soldi ed ai resti, mi si apriva allorizzonte la strada del Ragioniere. Pronto per la classe prima elementare, con le aste che mi aspettavano sui banchi di scuola, ci fu la terza bussata della cicogna a casa nostra e le cose si complicarono; aumentarono le incombenze e cerano anche i compitini ai quali dovevo dedicate tempo ed attenzione. Non mi scoraggiai e, oramai preparato, fui sempre più lometto di casa con mamma che attendeva anche allincarico di professoressa di lettere e papà occupato con la campagna, lallevamento dei cani, lattività di giudice cinofilo e scrittore/pubblicista, a tempo perso e per il suo diletto di tecnico della caccia. Feci appena in tempo a riscuotere il Premio Studio e Bontà, in quinta elementare, che ci fu lultimo toc toc della cicogna la quale, preso gusto, ci consegnò il piccolo di casa; quarto dei fratelli ed il più coccolato. Mio padre, anche cacciatore, mostrò al volatile dispettoso il suo fucile ed esso comprese che era il caso di dimenticare la strada della nostra casa.I quattro moschettieri erano pronti, di lì a poco, per scorrazzare per la campagna durante lestate, facendo disperare la mamma che li rincorreva - inutilmente - con il cucchiaione di legno. Quasi selvaggi che cercavano il contatto con la Natura rientrando in casa con le tasche piene di ogni animaletto ritrovato in giro.E’ arrivato così il tempo della maturazione ed io piccolo “grande” divenni, a poco a poco, adulto assumendomi tutte le responsabilità che la vita mi affidava, non ultima e la più bella, aprire alla cicogna che ci ha consegnato l’erede ancora noi nell'attesa di festeggiare il ventitreesimo genetliaco ed il diciannovesimo anno di età.