venerdì 26 febbraio 2010

Mustafà ( di Fiordistella)

Diana Catellani Copio e incollo qui il racconto dell'amica blogger M. Antonietta:


Quando ero piccola, avevo una gatta tricolore, bianca rossa e nera, che si chiamava Mustafà.



Mustafà è un nome maschile e la gatta, in effetti, era molto poco femminile. Aveva una decina d’anni felini che corrispondono, grosso modo, a una cinquantina d’anni umani.



Era, dunque, una sorta di zia di mezz’età, robusta, muscolosa e manesca. Picchiava di santa ragione i gatti che incautamente le si avvicinassero per socializzare, e tramortiva le talpe che, in primavera, risvegliatesi dal letargo, si affacciavano sonnacchiose all’ingresso della loro tana. Le tramortiva con poderose zampate, ma non le uccideva. E neppure ci si trastullava: le accoglieva semplicemente a suon di schiaffoni. Le talpe ci rimanevano male e, il più delle volte, rientravano intontite e contrariate nei loro anfratti, per riuscirne durante la notte, quando Mustafà, stanca delle fatiche quotidiane, ronfava beata nel suo cesto di vimini. Con me, invece, bimba di pochi anni, Mustafà era affettuosissima, permissiva e accudente. Potevo tirarle i baffi e stropicciarle le orecchie senza temere ritorsioni, quando sarebbe bastato molto meno a chiunque per divenire oggetto delle sue permalose attenzioni. Saltava sul mio lettino e mi svegliava con carezze delicate sulle guance, a unghie rigorosamente rinfoderate e, ove ciò non bastasse a sciogliermi dal sonno, procedeva con ruvide linguate sulla fronte. Allora abitavo in una grande casa, nell’immediata periferia della città, immersa nel verde della campagna. Oltre a papà e mamma, c’erano anche i nonni paterni e uno zio giovane e simpatico. Il nonno coltivava l’orto e, al tempo delle fragole, ero sempre in giro per i campi a cercare le più mature. Mustafà non mi mollava un momento, e mi precedeva lungo i sentieri per evitarmi gli inciampi sul terreno irregolare. Ogni tanto la mamma mi chiamava per sincerarsi che non mi fossi allontanata troppo, e Mustafà rispondeva, in vece mia, con mugolii modulati che stavano a significare” tranquilla, è qui con me, e tra un po’ ritorneremo”. Era una baby sitter affidabilissima. Trascorsi tutta la mia infanzia con lei, e lei trascorse la sua maturità e la sua vecchiaia con me. Vivemmo in simbiosi per quasi dieci anni. Mustafà morì di vecchiaia a diciott’anni, e fu una morte dolce e serena, accompagnata dalle lacrime copiose di una bambina che l’aveva amata molto e che lei amò con tutta se stessa.

La vigilia del soldato (ovvero,storie di zeppole e di tiri mancini)

 Il 24 dicembre del 1954 avevo poco più di undici anni. Era un mercoledì, o forse un giovedì, perché era giorno di mercato, ed era una bellissima giornata di sole tiepido come solo in Calabria si può avere alla vigilia di Natale. Nell’aria il profumo delle zeppole fritte con l’acciuga solleticava le narici e metteva allegria perché in ogni casa si stava preparando il cenone della vigilia. Le zeppole erano una delle tredici cose che dovevano essere portate in tavola. Tredici, non una di meno, non una di più. Secondo la radio ed il “Vittorioso” quello doveva essere tempo di gelo e neve. Anche nel mio libro di lettura, o forse nel sussidiario, le figure rappresentavano abeti imbiancati, bufere di neve e personaggi ammantati con pelli di pecora. Io, però, quella mattina ero andato all’oratorio in maniche di camicia ma, per la verità, mia madre mi aveva rincorso per darmi una giacchettina di lana grigia. Ero corso via senza la giacca perché non mi piaceva, ma anche perché non volevo fare tardi per la consegna del distintivo dell’Azione Cattolica. Nonostante la fretta, però, avevo fatto in tempo a fare un salto in cucina per afferrare la zeppola più grossa, appena tolta dalla padella. Mia nonna protestò perché diceva che mangiandole prima, l’olio della padella sarebbe evaporato più velocemente e provò inutilmente a riprendersela. Scappai via, ma riuscìì a sentire che ero il bambino più “scomunicato” del paese. Per “scomunicato” la nonna intendeva fortunatamente soltanto “monello” e nulla più. Poco male, pensai correndo con la bocca piena.All’oratorio arrivai in tempo per l’appello. La saletta attigua alla chiesa era stracolma di aspiranti “Soldati di Cristo”. Don Giuseppe, paramenti sacri delle funzioni solenni, era in piedi dietro un tavolo con la tovaglia bianca dell’altare. Alla sua destra c’era il Presidente provinciale dell’Azione Cattolica con un cesto colmo di distintivi e di tessere nominative. Alla sua sinistra, il sacrestano con l’acqua santa e l’aspersorio per la benedizione del cesto. Noi ragazzi eravamo una ventina schierati, petto in fuori, a ridosso della parete semicircolare. L’ora fatidica stava per scoccare. Erano giorni, settimane, che ci preparavamo all’appuntamento ed avevamo i cuori colmi di orgoglio perché stavamo per entrare nelle “Legioni di Cristo” per la difesa della Fede. Io fremevo e non vedevo l’ora di vestire la “divisa”, come veniva chiamato il distintivo. Ero pronto a versare il mio sangue fino all’ultima goccia per la difesa della fede, come aveva chiesto il Professor Gedda, il Presidente Nazionale, nel suo messaggio ai nuovi soldati di Cristo. Se lo diceva lui che aveva fondato i Comitati Civici e, per giunta, era anche un grande genetista esperto di gravidanze e parti gemellari (però l’una e l’altra cosa non sapevo cosa c’entrassero), dovevo proprio votarmi al sacrificio estremo. Del resto, l’inno che Don Giuseppe ci aveva insegnato per l’occasione parlava chiaro:siamo arditi della fede,


siamo arditi della croce

Al tuo cenno e alla tua voce

un esercito all'altar

un esercito all'altar Partì il canto. Tutti ci irrigidimmo sull’attenti, petto in fuori ed occhi ardenti, ed io mi sentii investito da responsabilità decisive perché stavamo scrivendo la Storia. A confronto con ciò che avremmo fatto noi, le Crociate per la liberazione del Santo Sepolcro erano state allegre scampagnate fuori porta.Alle dodici e dieci, per la sala si diffuse inspiegabilmente un irresistibile ed irriguardoso odore di zeppole. Da quel momento la cerimonia subì un’ evidente accelerazione e alle dodici e mezza era tutto finito. Sulla via del ritorno ero letteralmente galvanizzato. Attorno a me vedevo solo nemici della Fede e pensavo a come armarmi. Mi venne in mente che Don Giuseppe ed il presidente avevano dimenticato di dirci con quali armi avremmo dovuto combattere, ma conclusi che forse lo avrebbero fatto con una circolare di lì a breve. Ovvio: una cosa così importante andava stabilita per iscritto.Entrai in casa con la fierezza di Riccardo Cuor di Leone e buttai uno sguardo disgustato su quelle donnicciole intente a friggere, impastare, tritare, infarinare, sbattere uova, decorare. Che insulse attività! La Fede chiamava e loro, le miserabili, cuocevano il baccalà! Avessi già avuto la spada, avrei dato io una bella lezione a mia madre, a mia nonna e a mia zia che invece di lucidare le armi, strofinavano pentole e padelle.Quella che più mi irritava era mia nonna che aveva pure tentato di riappropriarsi della zeppola. Aveva finito di friggere le zeppole che aveva nascosto chissà dove e stava armeggiando attorno al fuoco con due grossi capponi. Cosa faceva l’infedele? China in avanti con la testa quasi sulla fiamma, stava bruciacchiando le superstiti piume attorno alle zampe e attorno al collo del gallinaceo che poco prima aveva spennato a dovere, previa adeguata immersione in acqua bollente. Dietro di lei, una sgangherata sedia impagliata sulla quale si sedeva di tanto in tanto per riposarsi dalla scomoda posizione. Natale o no, la vecchia doveva essere punita perché era lei la responsabile di quel trambusto che aveva distolto tutti dall’attenzione al fatidico evento della mia consacrazione a “Soldato di Cristo”. Ero, dunque, un soldato ed il soldato è uomo d’azione. La nonna era lì e dovevo passare all’azione. L’occasione era buona per saggiare il coraggio e la determinazione. E se al posto della nonna ci fosse stato un nemico della Fede? Pancrazio e Tarcisio, i santi martiri cristiani, che avrebbero fatto? Non ebbi dubbi ed, anzi, immaginai che fossero loro a spronarmi. Nonna Carmela era buona come il pane ed io, il nipote “scomunicato”, ero il suo prediletto. La riconoscenza, però, non è di questo mondo e quando arriva l’ora fatale, non ci può essere affetto che tenga.Il primo pollo era già stato sistemato e del secondo restavano solo le penne del collo e quelle delle punte delle ali, le più dure. Finite le ali, prima di passare al collo, la nonna certamente si sarebbe seduta nuovamente per riposarsi. Il movimento era sempre lo stesso e non c’era bisogno di girarsi per accertarsi che la sedia fosse al suo posto perché, tra l’altro, la poteva sentire sfiorandola col sedere o con le gambe.Mia madre si era allontanata per pulire i broccoletti siciliani per la pizza rustica, mia zia era andata dalla sorella a farsi prestare altre sei uova, dopo le trentasei avute la sera prima, mio nonno e mio padre ancora non erano tornati dal mercato, dei miei fratelli non c’era traccia nei dintorni, dunque nella grande cucina affumicata c’eravamo solo la nonna ed io.Senza il minimo rumore, col passo della lepre sulla neve, mi avvicinai, tolsi la sedia e altrettanto silenziosamente schizzai via dalla cucina. Il tempo di arrivare nell’altra stanza ed un lacerante urlo di dolore si udì a trecento metri di distanza.Accorse tutto il parentado ed il vicinato e la nonna fu portata a fatica sul suo letto.A chi le chiedeva come avesse fatto a non rendersi conto che la sedia non c’era, rispondeva che si era spostata di lato senza accorgersene.Quella sera il cenone fu piuttosto triste ed io mi sentivo il responsabile di quel mortorio.Al momento delle zeppole l’eccitazione del Soldato mi era passata completamente. Ne presi una calda calda e la portai alla nonna. Tutti annuirono compiaciuti e un po’sorpresi, ma nessuno fece commenti. Mi avvicinai al letto con gli occhi pieni di lacrime. La nonna si girò lentamente con una smorfia di dolore e non si stupì di vedermi. Non dimenticherò mai lo sguardo tenerissimo che mi diede ed il dito sulla bocca serrata per assicurarmi che non avrebbe fatto la spia.

Buon Natale nonna,ovunque tu sia



Enzo Movilia

giovedì 25 febbraio 2010

02 Giugno 2009 ( Quanta strada!!!)

Il due giugno 2009 scrivevo il mio primo racconto .
Vorrei ringraziare Alberto  per aver  dato vita a questo gruppo e anche per avermi incoraggiato a scrivere.
E,in tema di ringraziamenti,non posso dimenticare Augusto che con il suo entusiasmo e la sua fantasia geniale ha  fatto si che questo gruppo diventasse sempre più bello e coinvolgente per tutti quelli che ne fanno parte.Siamo a  un passo dai 2000 iscritti,abbiamo centinaia di racconti,pezzetti di vita di ognuno di noi.
Ci siamo divertiti e commossi leggendoci reciprocamente,imparando così a conoscerci anche senza esserci mai incontrati fisicamente, anche abitando a migliaia di chilometri di distanza,persino in altri continenti.
Ragazzi,non sò per voi, per me è un'esperienza umana straordinaria.E poi...lo splendido progetto che è legato a questo gruppo e  di cui però vorrei fosse Alberto a parlarne.Io mi fermo quì.
Di seguito :"S'abba de santu juanne" (L'acqua di San Giovanni) --------              Quando ero piccola la mattina del 24 giugno giorno dedicato a san giovanni del mare(anche se a Concas non c'è il mare) era usanza di andare a prendere l'acqua e raccogliere erbe aromatiche prima del sorgere del sole,perchè ,dicevano i vecchi, cosi ,l'acqua e le erbe erano benedette.


ricordo che io avevo sempre il timore di non svegliarmi in tempo e spesso non riuscivo a prendere sonno.Verso le cinque del mattino si sentiva il chiacchiericcio e le risatine soffocate delle ragazze ,tutte più grandi di me,le più brave con le brocche,le altre,meno esperte con le pentole in alluminio.Scendevamo in fila indiana per il sentiero stretto che porta a "sa funtanedda"una fonte naturale incastonata nelle rocce che si trova all' interno di un terreno di proprietà della mia famiglia e da dove per tutta l''estate

attingevano per bere tutti gli abitanti della frazione,acqua freschissima e leggera.Era di rigore che dovevamo essere di rtorno a casa prima che il cielo schiarisse annunciando l'alba.il giorno di san giovanni era sempre molto atteso da noi femminuce perchè si diceva che ,badando alla prima persona (di sesso maschile)che si incontrava al mattino avremmo saputo il nome ole iniziali del nome del futuro marito....anche se poi ....ogni anno uscivano nomi diversi,questo non ci toglieva per un anno il piacere di fantasticare....si chiamerà Paolo o Pietro oppure Pasquale?

Onorina

venerdì 12 febbraio 2010

Aggiornamento sullo stato del progetto


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Con questa nota vogliamo aggiornarvi sullo stato del progetto "Quando io ero piccolo".

Il successo del gruppo che ha visto le adesioni arrivare a quasi 1800 iscritti con oltre 200 racconti scritti e "regalati" ci ha spronati a prendere una decisione in merito alla pubblicazione del libro.
Abbiamo abbandonato, per il momento, la ricerca di una casa editrice disponibile a pubblicarci.
Abbiamo pensato di utilizzare le risorse della rete e di mettere in vendita il libro on line.

Chiaramente questa operazione deve essere molto, ma molto trasparente e nessuno degli ideatori e curatori del gruppo dovrà essere coinvolto in prima persona nella gestione degli eventuali introiti che dovessero provenire dalla vendita del libro.

Con la Onlus ANLADI ( Annulliamo la distanza) abbiamo convenuto quanto segue.

1. Pubblicazione del libro attraverso internet, da decidere se farlo utilizzando i servizi di mio libro di Repubblica.it (http://ilmiolibro.kataweb.it/) o Lulu ( www.lulu.com ). Il criterio di scelta saranno i costi, qualità, visibilità.
2. La gestione della pubblicazione e dei ricavi sarà a carico di ANLADI che relazionerà a tutti gli iscritti al gruppo.
3. Abbiamo individuato il progetto a cui devolvere i ricavi. Il progetto riguarda interventi periodici (una volta al mese per 5 mese) di chirurgia ortopedica che medici del Rizzoli di Bologna effettueranno ad Asmara (Eritrea) a bambini con malformazioni agli arti. Il progetto è rivolto anche a formare i chirurghi eritrei. ANLADI ci relazionerà sull'andamento del progetto.
4. Entro fine febbraio incontreremo a Milano il team che studierà gli aspetti grafici, di editing e di controllo dei testi. Ovviamente questa è un'attività di puro volontariato.
5.Il libro sara contraddistinto dal logo di Quando io ero piccolo e dal logo di ANLADI.
6. Stiamo valutando se pubblicare anche una versione ebook

L'avventura continua. Continuate a diffondere l'esistenza e la bellezza del nostro gruppo.
Diffondete anche questa nota e il blog.

A presto con i prossimi aggiornamenti.

Alberto Augusto Eleonora Onorina

http://www.facebook.com/group.php?gid=85561899252&ref=ts

martedì 9 febbraio 2010

"Adozione a distanza"



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Il nostro gruppo è stato adottato.
La scuola di teatro,  cinema e danza, il Faro Teatrale di Milano ha aperto una sezione nel suo sito internet ( http://www.faroteatrale.it/ ) dedicata alla nostra iniziativa.

E' significativo che una scuola di teatro trovi interessante e stimolate quello che noi facciamo. E anche gratificante.

La pagina la potete consultare qui.


mercoledì 3 febbraio 2010

Presentazione

Siete sul blog del gruppo Facebook "Quando io ero piccolo"  nato da una iniziativa di Alberto Giarrizzo e da una idea semplicissima: archiviare le storie della sua infanzia, quelle che Alberto raccontava periodicamente a sua figlia (per farla mangiare o in viaggio) e che a lei piacevano tantissimo, a un punto tale che gliele richiedeva sempre. Da questo primo spunto, il gruppo è diventato un luogo aperto a tutti, nel quale le persone hanno ritenuto, liberamente, di raccontare e conservare i ricordi della propria infanzia. Sono, quindi, arrivati i primi racconti e le prime adesioni. Lo scopo principale quindi si è leggermente modificato ed è diventato quello di raccontare e condividere ricordi. Un gruppo nel quale chi aderisce è anche parte attiva e viva di una memoria collettiva.

Visto il discreto successo, ci siamo chiesti cosa avremmo dovuto fare con i racconti che arrivavano. Ad Augusto Montaruli è venuta l'idea di farne un libro, ovviamente senza scopo di lucro (abbiamo tutti di che vivere: siamo dipendenti, pensionati o lavoratori autonomi, ecc.). Di certo non abbiamo alcun interesse ad arricchirci con i proventi di questo ipotetico libro. Basta poter recuperare le spese di pubblicazione e di stampa, che obiettivamente sconosciamo, e destinare tutto il resto in beneficienza. Augusto ha un amico, che dirige una Onlus "Annulliamo la distanza" (ecco il link al sito internet:http://www.annulliamoladistanza.com/) che si occupa di infanzia in Eritrea. Quale destinazione migliore e in sintonia con il gruppo?

In questo momento abbiamo oltre 170 racconti scritti da una sessantina di "soci".

Per quanto riguarda il libro avevamo iniziato la ricerca di un editore, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato meglio raggiungere un numero di iscritti, che rendesse il gruppo maggiormente "visibile" ed è da questa motivazione che è nato l'obiettivo di raggiungere quota 1000. Ci stiamo arrivando. Nel momento in cui lo realizzeremo, potremmo anche creare un gruppo di lavoro, per decidere se contattare direttamente gli editori o passare attraverso uno sponsor. Le idee qui non sono chiarissime e tutti i contributi sono graditi.

Augusto sta curando un documento word, che aggiorna e rende disponibile a tutti gli iscritti in formato PDF. Per inciso un correttore di bozze servirebbe tantissimo. Ovviamente, all'atto della eventuale pubblicazione, chiederemo una sorta di liberatoria a ciascuno di voi, nella vesta di autori, allo scopo di autorizzare la casa editrice a pubblicare il racconto.

Se avete bisogno di ulteriori informazioni, potete sempre contattare uno degli amministratori del gruppo. Se non intendete aderire alla eventuale pubblicazione del vostro racconto, sarete liberissimi di negare l'autorizzazione all'editore. Non c'è alcun problema da parte nostra. Nessuno deve sentirsi in alcun modo obbligato. Il gruppo è aperto a chiunque intenda farne parte, e chiunque può decidere di uscire o di farne parte sono in modo parziale.