venerdì 2 aprile 2010

Papà Pipu (di Fiordistella)

Quand'ero piccola, vivevo con i nonni paterni e avevo un particolare feeling con il nonno, che detestava essere chiamato "nonno" e che, essendo Giuseppe all'anagrafe, divenne ben presto Pippo, per tramutarsi poi in Pipu, acconcia denominazione per uno che vantava origini vogheresi oltrepadane da sette generazioni. Dunque, mio nonno paterno era papà Pipu.

Ero la prima nipote femmina, dopo due cugini maschi distratti e malmostosi: ero amatissima, coccolata e portata in palmo di mano, in quanto perentoria portatrice di caratteri genetici inequivocabili, quali la propensione non negoziabile a ritenere se stessi l'ombelico del mondo. Papa' Pipu mi portava a raccogliere le viole in primavera, a mangiare le pesche sul pesco in estate, a vendemmiare con lui in autunno, e in inverno diventava un pozzo inesauribile di favole, inventate o riportate. Nella casa di Voghera c'era una camera piuttosto grande, adibita a laboratorio per gli svaghi artigianali del nonno. Lì papà Pipu intagliava, scolpiva, cesellava, piallava. Era il suo regno, ed egli, benevolmente, mi ci faceva partecipe. In inverno, una grande stufa a legna riscaldava la stanza e papà Pipu e io, una vicino all'altro, ce la raccontavamo beatamente. Il nonno fumava la pipa e io non volevo essere da meno. Così, il nonno me ne costruì una con una rametto di salice e, accanto alla stufa che scoppiettava, mentre fuori il nebbione padano incombeva, fumando ambedue la nostra pipa ( io solo per finta, è chiaro),

il nonno raccontava e io ascoltavo. C'era una storia che mi piaceva particolarmente, anche perchè era ambientata in un paesino vicino a Voghera, che si chiama Retorbido, e che io conoscevo bene. Era la storia di Bertoldo. Papà Pipu raccontava...

C'era una volta, al tempo dei longobardi, un contadino dalle scarpe grosse e dal cervello fino che abitava a Casa Bertuggia, vicino a Mondondone, nel territorio del paese di Retorbido. Da queste parti aveva la sua residenza estiva anche re Alboino che un giorno lo convocò per alcuni lavoretti agricoli, lo ospitò per la notte e rimase colpito dal suo linguaggio plebeo ma pieno di acume, con il quale Bertoldo fustigava i potenti, rivendicando la dignità del contadino umiliato da secoli di schiavitù. Papà Pipu, di volta in volta, narrava un'impresa nuova e diversa di Bertoldo, ma terminava con il medesimo finale: non avvezzo al cibo leggero e raffinato della corte, Bertoldo morì perchè non aveva più potuto mangiare «rape e fagiuoli».

E concludeva, il nonno, con i versi dell'epitaffio di Bertoldo:



« In questa tomba tenebrosa e scura

giace un villan di sì difforme aspetto

che più d'orso che d'uomo avea figura,

ma di tant'alto e nobile intelletto

che stupir fece il mondo e la natura.

Mentr'egli visse fu Bertoldo detto;

fu grato al re, morì con aspri duoli

per non poter mangiar rape e fagioli. »



Io mi sganasciavo dalle risate e riprendevo a "fumare" la mia pipetta.

1 commento:

  1. Mi piace la vostra iniziativa! Anche io, nel mio piccolo, tengo viva la memoria nel mio blog "Storie tragicomiche della mia infanzia" Da più di un anno lo scrivo sul sito di Alfemminile a questo indirizzo: http://blog.alfemminile.com/blog/see_422661_1/Storie-tragicomiche-della-mia-infanzia
    Da pochi giorni sono anche su Blogspot. Spero di sentirvi!
    Ester

    RispondiElimina